Un colpo terribile, arrivato nei giorni più freddi dell’anno. Il violentissimo terremoto che ha colpito il Tibet all’alba di martedì 7 gennaio (ufficialmente alle 9.05, perché tutta la Cina usa l’ora di Pechino), con una magnitudo intorno a 7, ha colpito dei luoghi celebri per alpinisti e viaggiatori.
A Shigatse, una delle città più ricche di storia e di monumenti dell’altopiano, sorge da sei secoli il Tashilunpo, uno dei monasteri più importanti del Tibet, che è la sede del Panchen Lama, una delle principali autorità religiose del Paese. A Tingri (la mia foto è stata scattata proprio lì), la strada per la valle di Rongbuk e il campo base dell’Everest si stacca da quella che attraversa da ovest a est l’altopiano.
I media italiani, con pochissime eccezioni, non si sono praticamente interessati all’evento. Non ha trovato spazio su telegiornali e quotidiani nemmeno la notizia, subito diffusa da Ev-K2-CNR, che il sismografo più vicino (70 chilometri in linea d’aria) all’epicentro è quello accanto alla Piramide, il laboratorio italiano ai piedi del versante meridionale dell’Everest. I tecnici che lo seguono e interpretano i suoi dati a distanza sono all’OGS, l’Istituto Nazionale di Oceanografia e di Geofisica Sperimentale di Trieste.
La zona, sulla faglia dove s’incontrano l’India e il cuore dell’Asia, è stata colpita in passato da una lunga serie di terremoti. Quello del 1934, con una magnitudo 8.1, ha causato oltre 10.000 morti. A Kathmandu, che dista 240 chilometri, il sisma è stato percepito con chiarezza e molte persone hanno finito la notte in strada, ma non ci sono state vittime. Limitati anche i danni nel Khumbu, ai piedi del versante nepalese dell’Everest, dove in questi giorni trekker e alpinisti sono pochissimi, e parte della popolazione è scesa a valle in cerca di un clima più mite.
A quarantott’ore dall’evento, l’agenzia ufficiale cinese Xinhua e le agenzie internazionali come la Reuters affermano che le ricerche di vittime e sopravvissuti sono finite, che sono intervenuti circa 14.500 soccorritori, che 47.500 persone rimaste senza casa sono state sistemate in 3.705 tende riscaldate in 187 siti intorno all’epicentro.
Oltre ai residenti, informa Xinhua, erano nella zona 471 turisti cinesi e 13 stranieri, e nessuno di loro ha subito danni. Ricordiamo che la zona colpita ha una quota media di 4200 metri, e che in questi giorni la temperatura scende fino a 16 o 17 gradi sottozero. I soccorsi alla popolazione colpita, coordinati dal vicepremier cinese Zhang Guoqing, sono stati pronti ed efficienti, anche grazie alla ferrovia che collega Shigatse a Lhasa e al resto della Cina.
Sui media internazionali hanno trovato spazio anche le parole di solidarietà del Dalai Lama, che vive in esilio dal 1959 in India, e quelle dell’alpinista tedesco Jost Kobusch, che è stato sorpreso dal terremoto in un campo a 5750 metri ai piedi della cresta Ovest dell’Everest, e ha passato un brutto quarto d’ora.
Sui media cinesi, per giorni, ha invece campeggiato l’ordine che il presidente Xi Jinping ha inviato ai soccorritori. Sembra proprio, e ne siamo felici, che lo “sforzo eccezionale per soccorrere la gente, minimizzare il numero delle vittime e trovare una sistemazione agli scampati” sia stato seguito alla lettera.
Non sappiamo se e quando la zona colpita dal terremoto verrà aperta a giornalisti e troupe internazionali. Sarebbe interessante avere delle immagini sulle condizioni del Tashilunpo e degli altri monasteri della zona (il più noto è quello di Sakya), sarebbe importante avere un canale per aiutare la popolazione colpita.
Ci vorrebbe anche un conteggio aggiornato delle vittime. Quello fornito da Xinhua si è fermato nel primo pomeriggio italiano (tarda sera in Tibet) del 7 gennaio alla cifra di 126 morti e di 188 feriti. E’ possibile che nelle ore successive non siano state trovate altre vittime? Un po’ di trasparenza in più non guasterebbe. Forza Tibet, Forza Cina!
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