Ormai ci siamo abituati, le decisioni del Governo di Giuseppe Conte arrivano all’ultimo minuto, e non di rado a notte fonda. Ma l’indiscrezione che è comparsa sui giornali e nei telegiornali del 20 novembre in realtà era nota da tempo.
Anche se i segnali di rallentamento del Covid-19 verranno confermati nelle prossime due settimane, sembra praticamente certo che gli impianti sciistici non avranno il permesso di aprire per l’8 dicembre, l’inizio tradizionale della stagione, e nemmeno per le vacanze di Natale.
Qualche comprensorio continua a fare promozione come se nulla fosse o quasi. Altri, come la Val di Fiemme in un comunicato di oggi, annunciano che, appena la temperatura calerà, gli impianti per produrre neve artificiale si metteranno in moto.
Ma la trattativa tra il Comitato Tecnico-Scientifico, le Regioni e le Province autonome di montagna e gli impiantisti non sembra ancora avere portato risultati.
Sappiamo tutti che nelle funivie, nelle cabinovie, e nelle code alle biglietterie e alle seggiovie il rischio di stare troppo vicini è reale. Sappiamo bene che, a marzo, località come l’austriaca Ischgl (ma anche molte italiane) hanno avuto un ruolo nella diffusione del Covid.
Autorizzare i grandi comprensori ad aprire per un massimo di 150 sciatori al giorno, però, sembra sbarrare ogni possibilità d’intesa. La mia impressione è che, a questo punto, la vera trattativa si sposterà sui “ristori” che il governo di Roma dovrà garantire ai territori montani.
E’ un problema serissimo, dato che l’industria del turismo invernale fattura miliardi di euro, coinvolge milioni di clienti (più di 7 nell’inverno 2018-2019) e dà lavoro, considerando anche l’indotto, a centinaia di migliaia di persone. Ho il massimo rispetto per tutti loro, come per tutte le categorie, a iniziare da ristoratori e lavoratori dello spettacolo, che nel 2020 hanno preso una legnata tremenda.
C’è una cosa, però, che vorrei ricordare a tutti gli interessati. Le situazioni ad alto pericolo di contagio, difficili da evitare nello sci di pista, non esistono praticamente nelle le attività invernali naturali e alternative, dallo sci di fondo alle escursioni con le ciaspole, dallo scialpinismo allo slittino e alle passeggiate sui sentieri invernali battuti.
Si tratta da attività che da anni stanno crescendo rapidamente, che permettono di sentirsi all’unisono con la natura e con i Parchi, che coinvolgono da tempo una fetta importante del pubblico della montagna invernale.
Le ciaspole, il fondo e tutto il resto sono parenti strette dell’escursionismo e dei cammini, che nella scorsa estate hanno avuto un grande boom e hanno creato solo raramente dei rischi. Sono attività che portano benessere e salute a centinaia di migliaia di italiani, e che in alcune località appenniniche e alpine (Cogne e Pescasseroli, ma ce ne sono decine) portano un buon fatturato alle strutture ricettive.
Anche se lo sci di pista quest’inverno non sarà possibile, o se lo diventerà soltanto nell’ultima parte della stagione, la montagna naturale, sicura rispetto all’insidia del Covid, non dev’essere travolta insieme al resto.
Non bisogna togliere a migliaia di italiani la possibilità di vivere la montagna e guadagnare in salute, non è giusto togliere lavoro e reddito anche a operatori che potrebbero avere un fatturato discreto. Il rischio, d’altronde, sarebbe di dover estendere i “ristori” (a carico del bilancio dello Stato, cioè di noi tutti) anche a realtà dove non ce ne sarebbe bisogno.
Finora, nel dibattito sul turismo invernale tra il Governo, il CTS, le Regioni e le Province autonome, si è parlato esclusivamente di sci di pista e di impianti. Credo, invece, che sia importante e urgente allargare il discorso alle altre attività invernali della montagna, mettendo a punto delle regole dedicate. E preparandosi a promuovere, se ci saranno le condizioni, questo tipo di frequentazione invernale dell’Appennino e delle Alpi.
Mi piacerebbe che in questa riflessione fossero coinvolti le guide alpine, le guide ambientali ed escursionistiche, i maestri di sci da fondo e altre categorie professionali. E’ decisivo sentire cosa ne pensano il CAI, che organizza queste attività in tutta Italia, e le associazioni ambientaliste che chiedono da molti anni di porre un freno all’espansione delle piste. Oggi non c’è bisogno di polemiche. Ma l’altra neve merita di essere praticata e promossa.
Pienamente d’accordo Stefano. Questa pratica avrebbe dovuto essere più sviluppata già da tempo. L’altra neve ha pari dignità con lo sci alpino ma è sempre stata bistrattata ed ora si paga questo ritardo culturale favorito dal consumo sfrenato
Condividi al cento per cento la posizione di Stefano.Dobbiamo trovare il modo di farci sentire dove si decide spesso secondo indicazioni parziali o errate. Lo sci di fondo, lo sci escursionismo, l’escursionismo invernale con le ciaspole meritano un discorso a parte nell’interesse di tutti i praticanti ( salute e benessere) e dei professionisti coinvolti ( economia e commercio).
Confermo e approvo – occorre quanto meno parlarne! A parte spostamenti e ristoranti/bar e spogliatoi, il puro sport nel fondo NON SAREBBE PERICOLOSO
Giustissimo
Approvo totalmente, sono accompagnatore naturalistico e penso che il modo di vivere la montagna per noi, riduca o annulli la possibilità di contagio.
Concordo pienamente… sono Una Guida Escursionistica Ambientale (Regione Piemonte) AIGAE e andrebbe fatto un gioco di squadra più incisivo con tutte le figure professionali che promuovono queste attività
Vorrei condividere in toto quello che scrive Ardito (e anche Cognetti, oggi su Repubblica) però va ricordata una cosa, per quanto spiacevole: non ho dati precisi da portare, ma mi pare di poter dire che da solo lo sci porta in montagna (montagna-parco giochi, naturalmente) molta più gente di tutte le altre attività messe assieme. Più gente vuol dire naturalmente più soldi, quindi occupazione, servizi, investimenti, sviluppo: non quello che piace a noi, ma quello che permette alla gente della montagna di non andarsene via. Venendo da una località di turismo invernale (Altopiano di Asiago-Sette Comuni) so bene quanto pesantemente esso impatti sul territorio ma anche sulla psicologia dei suoi abitanti, ma che la montagna senza sci (e senza turismo estivo) è una montagna più povera, anche se più ricca dei suoi valori fondanti. Certo bisogna andare nella direzione indicata da questo articolo, ma tenendo ben presente quella che è la situazione attuale, per evitare il tracollo di intere comunità, e di conseguenza del territorio da esse occupato.
Condivido tutto quanto. Ho una sola perplessità: aprire alle pratiche alternativi allo sci su pista, non porterà ad un aumento dei rischi insiti nella montagna d’inverno? Mi spiego meglio, non ci saranno molte persone che si cimenteranno in ciaspolate senza avere la minima cognizione di causa dei rischi da valanghe? Tutti si doteranno, come prevede la legge, del Kit di autosoccorso?