Nelle scorse settimane ho raccontato più volte i lavori in corso al rifugio Sebastiani al Velino e al rifugio/bivacco Zilioli sui Sibillini. Ho usato toni entusiasti perché i due progetti mi piacciono, perché Eleonora Saggioro e i suoi colleghi hanno il diritto di lavorare in maniera più umana. E perché credo che qualche rifugio in più, ovviamente di dimensioni limitate, non possa che fare del bene alle nostre montagne.
Molte persone, sulla mia pagina Facebook, sul mio blog e con messaggi privati, mi hanno scritto di essere d’accordo. Qualcuno ha protestato, cosa ovviamente legittima, sostenendo che lo Zilioli avrebbe potuto essere semplicemente eliminato, e il Sebastiani sarebbe potuto rimanere com’era.
Ricordo le battaglie di trent’anni fa, anche all’interno del CAI, contro i nuovi rifugi e per l’eliminazione dei bivacchi sulle vette, a cui lo Zilioli potrebbe essere assimilato. A proposito del Sebastiani, un amico che stimo, e a cui voglio bene, mi ha scritto che “è stato rovinato per sempre”, e che il suo restauro è un cedimento “alle logiche distorte e consumeristiche della pianura”.
Non la penso così, e provo a spiegare il motivo. C’è un aspetto storico, perché i due rifugi in questione hanno alle spalle una storia, che inizia con le vicende umane di Vincenzo Sebastiani e Tito Zilioli, e prosegue con i tanti anni di storie legate a quelle vecchie pietre. C’è un motivo di solidarietà con chi lavora, e l’ho citato sopra.C’è un dato evidente, dato che parliamo di due rifugi piccolissimi, ben diversi da giganti come l’Auronzo o la Capanna Gnifetti.
C’è anche un motivo “politico” e di valori, che è fondamentale ricordare. Per troppo tempo le Regioni, i Comuni e i Parchi dell’Appennino centrale hanno quasi completamente ignorato l’escursionismo e le altre forme di pratica della montagna senza motori e senza fucili, dalla mountain-bike all’arrampicata. Invece queste attività ci vogliono, vanno governate dove occorre, e fanno bene a chi le pratica e al territorio.
Lo stesso vale per i rifugi, che creano lavoro e turismo in zone storicamente depresse, e colpite dai terremoti recenti. Punti d’appoggio come il Cima Alta, il Viperella, il Lago Racollo, il Rinaldi e l’ecorifugio della Cicerana dimostrano che si può lavorare bene, ed essere anche dei punti di riferimento culturali, sia accanto alle strade sia in luoghi che si raggiungono a piedi.
Chi governa l’Appennino non ha ancora imparato la differenza tra i rifugi veri e quelli fasulli. Lo dimostrano i “rifugi” previsti tra i nuovi impianti di risalita del Terminillo, e quello che la Regione Lazio vorrebbe costruire accanto ai Pantani di Accumoli. Due progetti che se realizzati, sarebbero dannosissimi per le montagne del Lazio.
Sono socio del CAI da tanti anni, e non sono sempre stato d’accordo con le sue scelte. In questi giorni, la serietà, l’entusiasmo e la capacità di investire tempo e denaro da parte delle Sezioni di Ascoli Piceno e di Roma nei lavori per il Sebastiani e lo Zilioli, e il supporto da parte della Sede centrale del CAI e della SAT, mi hanno reso orgoglioso di far parte di questa grande famiglia.
I rifugi mai completati da parte degli enti proprietari, come la “vetrina” del Vado di Pezza (Comune di Rocca di Mezzo) e il rifugio del Diavolo (Comune di Gioia nei Marsi), o il rifugio del Monte (Comune di Fano Adriano) sabotato dalla chiusura della seggiovia, dimostrano che l’entusiasmo intelligente del Club Alpino Italiano ha ancora un ruolo importante per far vivere e progredire l’Appennino.