Qualche giorno fa l’Appennino e la città dell’Aquila hanno avuto un grande (e meritato) dono dall’UNESCO. In un incontro a Bogotà, in Colombia, l’organizzazione delle Nazioni Unite per l’Educazione, la Scienza e la Cultura ha inserito nel Patrimonio immateriale dell’Umanità la Perdonanza celestiniana e la transumanza.
La prima, come tutti sappiamo, è una tradizione religiosa profondamente radicata all’Aquila. La seconda è un modo di praticare la pastorizia presente in molte parti d’Europa e del mondo, ma che ha plasmato, nei secoli, la civiltà e il territorio dell’Abruzzo. Come giornalista ho raccontato la notizia, da amico condivido la gioia degli abruzzesi e degli aquilani.
Nella stessa riunione, l’UNESCO ha deciso di inserire nel Patrimonio immateriale anche l’alpinismo. La domanda era stata presentata dai Club Alpini di Italia, Francia e Svizzera, che hanno festeggiato la sua approvazione. Nei giorni successivi si è iniziato a discutere se l’inclusione dell’alpinismo nell’elenco sia un bene. E’ un tema complesso, da affrontare un’altra volta.
Mi ha fatto piacere scoprire che, oltre a festeggiare per i riconoscimenti alla Perdonanza e alla transumanza, Pierluigi Biondi, sindaco dell’Aquila, ha intestato alla sua città anche quello relativo all’alpinismo.
Ho scritto decine di volte che l’impresa di Francesco De Marchi e compagni nel 1573 ha contribuito a far nascere l’alpinismo europeo, so bene che l’arte dell’andar per montagne non si pratica solo a Courmayeur e Chamonix, condivido pienamente la gioia del sindaco Biondi.
Dopo aver brindato, però, c’è una cosa importante da dire. L’alpinismo, al di là delle imprese di alta difficoltà, è semplicemente la libera e responsabile avventura in montagna. Se L’Aquila e l’Abruzzo celebrano l’ingresso dell’alpinismo nel Patrimonio immateriale dell’Umanità, dovrebbero verificare in tempi brevi se, nei loro territori, questo tipo di avventura possa essere davvero vissuta come merita.
La risposta, finora, è negativa. In questi giorni, nonostante un innevamento ridicolo, la Provincia dell’Aquila ha chiuso le strade verso Campo Imperatore, dando ancora una volta un duro colpo al lavoro delle guide alpine, degli accompagnatori di media montagna e soprattutto dei gestori dei rifugi.
Quando nevicherà in modo più abbondante, temo che i Comuni abruzzesi (a iniziare dall’Aquila, Roccaraso e Ovindoli) porranno ancora una volta dei limiti ingiusti e severi allo scialpinismo e alle altre attività invernali diverse dallo sci di pista.
Sono ingiusti, e cozzano con il riconoscimento concesso dall’UNESCO all’alpinismo, anche i divieti che riguardano la Val di Teve, il Vallone di Santo Spirito a Fara San Martino e tanti altri luoghi del nostro Appennino. Se si vuole onorare il riconoscimento deciso a Bogotà, tutto l’Abruzzo (Regione, Comuni, Province, Parchi, altre aree protette…) deve darsi un sistema di regole che consenta a chi pratica la montagna di sentirsi accolto, e non trattato come un nemico o un intruso.