Quanto vale un morto in Himalaya per i media italiani? Se è un alpinista di casa nostra, meglio se famoso, è una notizia da prima pagina. Se è straniero, lo spazio si riduce notevolmente, a meno che alla tragedia non si aggiunga un tentativo di soccorso drammatico come quello di un anno fa sul Nanga Parbat.
Venerdì mattina, mentre l’Italia ricordava il secondo anniversario della tragedia di Rigopiano, una valanga ha travolto una decina di lavoratori in Ladakh, una regione del Kashmir indiano, di fede e cultura buddhista, che in estate è molto amata da viaggiatori, alpinisti e trekker.
I dieci stavano spalando neve sulla strada che sale al Khardung La, un valico a 5369 metri di quota che è traversato dalla strada più alta del mondo. Quando ci sono passato qualche anno fa, nel mese di giugno, l’ultimo tratto era una lastra di ghiaccio, dove fuoristrada e camion slittavano sull’orlo del baratro.
La sola idea che si possa tenere aperta e utilizzare una strada di quel tipo e a quella quota a gennaio mi sembra inconcepibile. Ma la valle di Nubra comunica con il resto del mondo solo attraverso il Khardung La (poi c’è un aeroporto esclusivamente militare), e quindi la strada deve restare aperta.
Al momento in cui scrivo queste righe il “Times of India” e gli altri siti locali parlano di 4 morti estratti dalla neve, su un totale di una decina di sepolti. I nomi delle vittime non si conoscono ancora. Militari e volontari continuano a scavare, in condizioni spaventose, che ricordano da vicino (e forse sono peggiori) di quelle degli eroici soccorritori di Rigopiano.
Per l’informazione italiana, però, quei lavoratori indiani non esistono. Nei tg di prima serata la notizia non compare, i siti dei quotidiani parlano genericamente di “Himalaya” senza dare informazioni ulteriori.
Conosco le regole dei media, so che anche i morti italiani sul lavoro hanno meno spazio di un piede di Cristiano Ronaldo o delle tette di una star del Grande Fratello. So che per dei lavoratori lontani, e con la pelle scura, l’attenzione è molte volte inferiore.
Nel 2013 e nel 2015, c’è stato bisogno di una quindicina di vittime perché la vita e la morte degli Sherpa sulla seraccata dell’Everest “sfondasse” sui quotidiani e nei telegiornali. I Ladakhi del Khardung La hanno gli stessi occhi a mandorla, ma fanno un lavoro meno glamour.
Conosco le regole dei media, ma non mi rassegno. Per me i 4 (o forse 10, o forse di più) lavoratori indiani morti sui pendii del Khardung La contano molto. Sono esseri umani come gli alpinisti di pelle bianca, e come le vittime della spaventosa ed evitabile valanga che due anni fa ha sconvolto l’Abruzzo. Per favore, fateci almeno sapere i loro nomi.
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