Sono giorni di grande attività sul versante nepalese dell’Everest. Il 9 aprile gli otto bravissimi Icefall Doctors guidati da Ang Sarki Sherpa, dopo un mese di lavoro delicato e rischioso (nella foto), hanno finito di attrezzare con chilometri di corde fisse e con decine di scale la seraccata del Khumbu, che è l’ostacolo più pericoloso per salire verso la parte alta del “Big E”. Il lavoro, come accade da anni, è stato organizzato dal Sagarmatha Pollution Control Committee.
Da qualche giorno gli Sherpa di decine di agenzie nepalesi e internazionali hanno iniziato a trasportare attraverso l’Icefall una quantità impressionante di corde, cibo, combustibile e tende. E naturalmente il bene più prezioso di tutti, le bombole di ossigeno che verranno consumate a centinaia oltre i 6400 metri del campo-base avanzato, e poi in alto verso il Colle Sud e la cima. La sola agenzia neozelandese Adventure Consultants ha tre tonnellate e mezza di bagagli.
Centinaia di alpinisti-clienti stanno completando i loro trekking verso i 5364 metri del campo-base. Da qualche anno, molti di loro arrivano più tardi che in passato, perché gli Sherpa preferiscono farli acclimatare, e insegnare loro la tecnica, su dei “seimila” facili (Trekking Peaks secondo la burocrazia nepalese) come l’Island Peak e il Mera Peak. Sono già iniziate le puja, le cerimonie buddhiste con le quali gli Sherpa chiedono agli dei protezione contro le insidie della montagna.
Ma quanti sono i clienti e gli Sherpa? E quanti di loro arriveranno sulla vetta? La Seven Summit Treks, la più importante agenzia specializzata nepalese, ha annunciato di avere “circa 100” aspiranti alla cima. Uno dei responsabili della Asian Trekking ha parlato in totale di un numero “tra i 400 e i 500” clienti.
I numeri ufficiali, come sempre, si sapranno solo dopo che ognuno degli alpinisti avrà ricevuto il suo permesso al Ministero del Turismo di Kathmandu. Astronomico – parliamo di decine di milioni di euro – il budget complessivo, dato che ogni cliente spende dai 35-40.000 euro delle agenzie “low cost” agli oltre 150.000 addebitati dalle guide più note, come il britannico Kenton Cool, ai loro pochi e scelti clienti.
E’ impossibile, ovviamente, prevedere, quanti tra i clienti riusciranno a coronare il loro sogno sugli 8848 metri sulla cima. Dipende dalle condizioni del tempo, dalle condizioni e dalle difficoltà di una via sempre più segnata dal cambiamento climatico (l’anno scorso il crollo di una cornice sotto allo Hillary Step ha fatto delle vittime), dalla forza e dalla tenacia di ognuno dei clienti, che da anni sono in maggioranza asiatici, con India e Cina su tutti.
L’alpinista e blogger statunitense Alan Arnette scrive da anni che circa due terzi degli aspiranti della vetta ce la fanno. Per arrivare al numero totale di ascensioni, però, bisogna calcolare che ogni cliente arriva in cima accompagnato da uno o due Sherpa (la media 2024 è di 1,6 guide per cliente), e che molti degli Sherpa più forti, in una stagione, salgono a 8848 metri due volte, con clienti diversi. Il bravissimo Kami Rita Sherpa, recordman con 30 ascensioni riuscite, ripete questo incredibile exploit da qualche anno.
Fino a oggi, il record delle ascensioni riuscite in un anno è 871. E’ stato stabilito nel 2019, l’anno delle terribili code fotografate da Nirmal Purja, e che hanno causato varie vittime a causa dell’esaurimento dell’ossigeno. L’anno scorso il conteggio si è fermato a 861. Se tutto andrà nel migliore dei modi, quest’anno si potrebbe superare il tetto dei 1000 arrivi sulla cima in un anno, e i redattori del “Guinness dei Primati” avranno un altro record da segnalare.
Tutto bene, insomma? Gli alpinisti-clienti spendono liberamente i loro soldi (come fanno tanti altri sulle Alpi per raggiungere il Monte Bianco e il Cervino), gli Sherpa, le guide internazionali guadagnano bene, e lo stesso fanno gli elicotteristi e i titolari delle agenzie che organizzano le spedizioni. Le rupie dell’Everest, in un paese poverissimo come il Nepal, migliorano la situazione economica di centinaia di migliaia di persone.
Eppure… So di essere un inguaribile romantico, ma a volte mi ritrovo a pensare con rimpianto a com’era grande e misterioso l’Everest settantadue anni fa. Penso a quei giorni, alla fine di maggio del 1953, in cui prima due alpinisti, Tom Bourdillon e Charles Evans, sono faticosamente saliti fino sulla Cima Sud, 8750 metri. E poi tre giorni dopo, il 31 del mese, altri due minuscoli uomini, Edmund Hillary e Tenzing Norgay, hanno completato il lavoro fino ad abbracciarsi sulla cima.
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