Per molti impianti dell’Appennino la stagione dello sci di pista si è conclusa da poco, nei grandi caroselli delle Alpi si riuscirà a sciare fino a Pasqua. A leggere i commenti di albergatori e impiantisti, come quelli di assessori e sindaci, è stato un inverno trionfale. Alberghi con il tutto esaurito, pienone sulle piste di discesa, fatturati alle stelle.

Il ritorno della neve nei mesi scorsi sull’arco alpino, oltre che per chi scia o vive di sci, è una buona notizia per l’agricoltura e gli acquedotti. Nell’inverno che si è appena concluso ho passato meno giorni che in passato sulla neve, ma è bastata una giornata a Cervinia (nella foto) per vedere una macchina che girava a pienissimo ritmo. Posteggi strapieni, piste e impianti affollati, sciatori che parlavano decine di lingue diverse.

Sullo sfondo della stagione del turismo invernale, oltre alle vittorie di Federica Brignone e Sofia Goggia in Coppa del Mondo, ci sono i stati lavori per le Olimpiadi di Milano-Cortina che inizieranno tra poco più di dieci mesi. Se i bypass per togliere il traffico dai paesi della Valtellina e del Cadore sono certamente utili, i lavori per la nuova pista da bob di Cortina sono stati (e sono ancora) un ceffone a chi ama la natura, e desidera una montagna diversa.

Il messaggio che arriva da chi governa il Veneto e l’Italia è forte e chiaro. Il business delle piste, degli alberghi, dei materiali e del cibo conta infinitamente di più rispetto a qualche centinaio di larici e al magico paesaggio della conca d’Ampezzo.

A bucare il muro del silenzio sono stati pochi ambientalisti, un pugno di giornalisti coraggiosi e il violoncello di Mario Brunello che nei primi giorni dello scempio ha fatto da controcanto alle motoseghe in azione. A passare, però è solamente un messaggio. Lo sci vince, lo sci funziona, lo sci è l’unica via da seguire. Ma ne siamo proprio sicuri?

Qualche settimana fa, una serie di dati messi insieme dal bravissimo Max Cassani su La Stampa ha dimostrato che lo sci per gli italiani sta diventando un lusso. Secondo i dati di Assoutenti, che Max ha citato sul suo giornale ai primi di marzo, nell’inverno che si è appena concluso “quasi un milione di italiani ha rinunciato alle vacanze sulla neve”. Rispetto al 2023, per la stessa fonte, “il calo è addirittura più drastico e sfiora 4 milioni di presenze in meno”. 

In termini assoluti, secondo i dati di Assoutenti, si è passati dai 12 milioni di sciatori nel 2023 ai 9 milioni del 2024 e agli 8,2 milioni di quest’anno. Il motivo, ovviamente, sono “i pesantissimi rincari delle tariffe che hanno investito il comparto del turismo invernale”. Per Gabriele Melluso, presidente di Assoutenti, “il giro d’affari delle vacanze sulla neve è passato dai 9,6 miliardi di euro del 2023 ai 5,8 miliardi del 2025, con una contrazione del 39%”.

Se nelle località “top” delle Alpi italiane, da Cortina d’Ampezzo a Cervinia e da Santa Caterina Valfurva a Madonna di Campiglio gli affari sono andati benissimo anche grazie alla clientela straniera, e lo stesso vale per i grandi comprensori interconnessi dal Superski Dolomiti al Monterosa Ski, nelle località più “normali” la diminuzione della spesa si sente.       

Non c’è nessun moralismo contro i ricchi, e chi vola con Ryanair alle Canarie si può divertire come chi viaggia verso i Caraibi in business. La diminuzione del giro d’affari complessivo, però, dovrebbe invitare chi governa i territori (e l’Italia) al buonsenso, e a non togliere spazio alle attività alternative, dallo scialpinismo fino alle ciaspole e al fondo. L’andazzo dei Giochi di Milano-Cortina, e non solo, dimostra che la scelta, invece, è esattamente l’opposto.

Altri dati, diffusi il 13 marzo, stendono ombre minacciose sopra al mega-business dello sci. Secondo Legambiente e il suo rapporto Nevediversa, sulle Alpi italiane e sull’Appennino esistono 265 comprensori sciistici abbandonati, un numero che è raddoppiato in cinque anni. La causa principale è il cambiamento climatico, ma hanno un ruolo importante anche i costi. Se gli hotel quattro e cinque stelle e le stazioni sciistiche “per ricchi” funzionano ancora alla grande, le pensioni e le stazioni più piccole, poste a quote più basse e con bilanci marginali chiudono.

Secondo il dossier di Legambiente, esistono stazioni abbandonate in tutte le regioni, con un record in Piemonte (76) seguito da Lombardia (33), Abruzzo (31) e Veneto (30). In realtà i dati di Nevediversa sono incompleti, perché nell’elenco delle stazioni-fantasma del Lazio mancano Livata e Prati di Mezzo, e tra gli impianti abbandonati dell’Abruzzo non ci sono né gli skilift di Passo Godi né l’albergo e le seggiovie di Prato Selva, una bomba ecologica nel cuore del Parco del Gran Sasso e Monti della Laga. Se i dati mancanti fossero stati inseriti, però, il ragionamento sarebbe stato rafforzato.

Il rapporto Nevediversa, sottotitolo Una montagna diversa è possibile?, cita ampiamente centri studi autorevoli come CIMA Foundation di Savona ed Eurac Research di Bolzano, che dimostrano la quasi completa sparizione della neve (almeno in quantità sciabile) sotto i 1500 metri di quota, e in prospettiva anche più in alto, dove il ricorso diffuso alla neve artificiale ha dei costi accessibili solo alle stazioni e alle regioni più ricche.

Secondo il programma Beyond Snow / Oltre la neve, portato avanti da Legambiente, da Eurac e da varie realtà locali delle Alpi, per far vivere la montagna in futuro è necessario eliminare la monocultura dello sci.

I bilanci trionfali della stagione 2024-’25, i faraonici progetti di nuovi impianti di risalita sulle Alpi e sull’Appennino (tra questi la Ortler Arena, il Vallone delle Cime Bianche, i collegamenti Comelico-Sesto e Campo Felice-Ovindoli), insieme all’atteggiamento di chi promuove i Giochi di Milano-Cortina 2026, sembrano fare esattamente il contrario.