Un mese fa, nei primi giorni di giugno, mi sono trovato davanti a un orso, poco fuori dai confini del Parco d’Abruzzo, Lazio e Molise. E’ comparso a qualche decina di metri da me, ho montato il teleobiettivo e ho iniziato a scattare. Si è avvicinato fino a circa trenta metri, tra i ginepri. Poi mi ha visto, mi ha guardato, si è alzato sulle zampe posteriori per osservarmi. Poi si è girato, e in un attimo è sparito nel bosco.

Molti amici, quando ho raccontato loro l’incontro, e dopo che ho pubblicato una foto su Facebook, mi hanno chiesto se ho avuto paura e se ho avuto la tentazione di scappare. La risposta è no, e non perché io sia particolarmente coraggioso. Qualche incontro ravvicinato con animali pericolosi l’ho avuto (un rinoceronte bianco in Sudafrica, una iena in Etiopia…). Una volta in Canada ho camminato in un bosco pieno di orme fresche di grizzly, e la mia guida non era felice.

Quel giorno in Abruzzo, invece, ero tranquillo, e mi sentivo al posto giusto. Certo, a furia di sentir parlare di orsi, o di vederli da lontano, avevo memorizzato le cose da fare e da non fare. Certo, sapevo che non esistono casi noti di attacchi di orsi marsicani contro esseri umani.

Per un attimo, con un pizzico di presunzione, ho pensato di essermelo meritato, quell’incontro, dopo centinaia di uscite e chissà quanti chilometri di sentieri senza orsi. Ho anche pensato che camminare da solo, come faccio da tanti anni, forse comporta qualche rischio in più, ma può regalare degli incontri speciali.

Qualche giorno dopo, un amico zoologo mi ha detto che il “mio” orso era quasi certamente un’orsa, che quest’anno ha avuto due cuccioli, e che quindi forse un po’ di pericolo c’era. Non so se avesse ragione. Davanti a me, però, l’animale era assolutamente tranquillo, e i cuccioli – ammesso che si trattasse di una madre – non erano con lei, ma al riparo da qualche parte nel bosco.

Quel giorno mi sono sentito tranquillo, al mio posto. All’unisono con la natura selvaggia, come amava scrivere Walter Bonatti dopo i suoi “giorni grandi” tra grizzly, leoni e varani di Komodo. L’orso faceva l’orso, non si è sentito aggredito. Io sono entrato nel suo mondo come un umano rispettoso, l’ho ammirato e fotografato con rispetto. Nelle ore successive ho sperato di incontrarlo di nuovo, ma non è accaduto.

Vivo a Roma e non in una capanna tra i monti, amo e frequento la natura che da anni è diventata anche il mio lavoro. Mi piacciono i sentieri d’Abruzzo dove non s’incontra nessuno per giorni, ma anche quelli più frequentati delle Dolomiti, del Monte Bianco e del Nepal, dove la litania dei “buongiorno!”, “bonjour!”, “grüss Gott!” e “namastè!” è continua.    

Negli anni, i momenti passati al cospetto degli animali selvatici – orsi, tigri, stambecchi e gorilla, ma anche specie più comuni come volpi, upupe o marmotte – sono diventati una parte importante della mia vita. Negli anni, ogni volta che ho potuto, ho dato una mano a iniziative e campagne che puntavano (e puntano) a rimettere a posto qualche tassello nella natura italiana.

Ho fatto il tifo per il lavoro del WWF, del vecchio Parco d’Abruzzo e dello zoologo Luigi Boitani per il lupo, che è riuscito a riportare la specie prima sull’Appennino settentrionale e poi sulle Alpi. Mi sono commosso a Farindola, nel 1992, quando un elicottero ha riportato i primi camosci sul Gran Sasso a due secoli dalla data ufficiale di estinzione.

Ho applaudito, criticando qualche divieto di troppo, il lavoro del Corpo Forestale dello Stato per riportare l’avvoltoio grifone sul Velino, in Abruzzo. Mi sono sempre battuto per limitare al massimo la caccia, un’attività che considero barbara, retrograda e inutile proprio come la guerra. Pochi giorni fa ho scritto con gioia su Montagna.tv dei primi due cuccioli di lince nati sulle Alpi Giulie, dove la specie è stata riportata l’anno scorso.    

Venticinque anni fa, nel 1999, ho iniziato a seguire con molti articoli e un documentario per Geo&Geo l’operazione LIFE Ursus, che ha riportato l’orso bruno in Trentino. L’accento, mio e di chi ho intervistato, è sempre stato sull’attenzione, sulle regole per una convivenza tranquilla, sulla necessità di un’informazione capillare per evitare incidenti.

Sapevo che qualcuno non era d’accordo. Ma la mia sensazione, all’inizio e negli anni successivi, era che gran parte dei soggetti interessati (oggi si usa la parola inglese “stakeholder”), dai politici della Provincia di Trento ai sindaci, e dagli appassionati di natura locali fino al pubblico nazionale, approvasse quel tentativo generoso. Non ho dubbi che la presenza dell’orso abbia attirato in Trentino visitatori attenti all’ambiente, e scettici sul turismo del “grande sci”.

Da allora, però, l’atteggiamento dell’Italia verso gli animali selvatici è cambiato. Mentre i proprietari di cani e gatti aumentano in maniera esponenziale, e le pubblicità del “pet food” riempiono la televisione e la radio, l’orgoglio per essere uno dei Paesi con la massima biodiversità in Europa ha lasciato il posto a qualcosa di diverso, e a volte di inquietante.

Nelle Alpi orientali, soprattutto in quelle di lingua tedesca, il ritorno del lupo non è stato accolto con richieste di indennizzi e aiuti per correggere il modo di gestire le greggi (recinzioni, cani di taglia adeguata…) com’era accaduto in Toscana e in Piemonte, ma con chiamate alle armi e richieste di eliminazione del predatore. Dietro, oltre a molti politici, ci sono i cacciatori locali, che vedono nel lupo un concorrente capace di ridurre il numero di caprioli e camosci a portata dei loro fucili.

La vicenda dell’orso in Trentino è certamente più seria, perché ci sono stati vari incidenti gravi con l’uomo e la tragica morte del runner Andrea Papi nella primavera del 2023. Il mio dolore per la fine di un ragazzo che ha la stessa età dei miei figli è stato immenso. In tutte le ricostruzioni però, di quell’evento e degli altri, gli esperti hanno spiegato che gli umani interessati, prima di diventare vittime, hanno fatto degli errori molto seri.

Anche il ruolo della politica è cambiato. Mentre qualche decennio fa Stato, Regioni e Province autonome spingevano verso la convivenza, da qualche anno la giunta trentina guidata da Maurizio Fugatti spinge verso lo scontro. Dopo aver chiesto di trasferire altrove “almeno 50 orsi”, cosa resa impossibile da leggi italiane e trattati, ora si punta sull’eliminazione di ogni esemplare che si avvicini all’uomo anche senza atteggiamento aggressivo. I toni in cui a fine maggio è stata accolta la passeggiata di un orso per le vie di Malè, in Val di Sole, sono stati da dichiarazione di guerra.

E lo Stato? E l’Italia? Dopo Sergio Costa, che ha svolto quel ruolo nei due governi presieduti da Giuseppe Conte (dal 2018 al 2021), la Repubblica italiana non ha più un vero Ministro dell’Ambiente, ma un signore (prima Roberto Cingolani, poi Gilberto Pichetto Fratin) che si occupa prioritariamente di Transizione ecologica e/o di Sicurezza energetica. Né l’uno né l’altro hanno mai preso posizione con forza a favore della natura e dei Parchi.

Certo, nell’aprile del 2022, la presenza del Presidente Sergio Mattarella alla festa romana per i cent’anni Parchi del Gran Paradiso e d’Abruzzo è stata un segnale importante. Qualche mese dopo, però, poco dopo l’insediamento del governo Meloni, il Ministro dell’Agricoltura Francesco Lollobrigida ha compiuto una delle sue prime missioni a Trento e a Bolzano, garantendo ai suoi interlocutori locali dei provvedimenti contro i lupi.

E’ un ritorno al passato dal punto di vista istituzionale, perché fino al 1983 a occuparsi di aree protette e di fauna erano i Ministri dell’Agricoltura e Foreste. E dal punto di vista politico, perché il buon rapporto con la natura e gli animali, dopo la legge-quadro del 1991 sui Parchi, sembrava essere diventata patrimonio di tutte le forze politiche.

Da qualche tempo, ogni anno, le Regioni (anche quelle amministrate dal centro-sinistra) puntano ad ampliare e a facilitare la caccia con l’aumento delle specie cacciabili e dei giorni per l’attività venatoria. I programmi dedicati ai documentari ci sono ancora, ma nei telegiornali e sui quotidiani la fauna viene vista sempre più spesso come una minaccia e un problema.

Su alcuni quotidiani nazionali, un mese fa, la passeggiata dell’orso a Malè, un evento che merita certamente attenzione, è stata accolta come un flagello da stroncare, e incredibilmente paragonata agli incidenti causati dall’aumento dei e daini nelle pinete della Romagna.

Un problema, mi sia consentito pensare, che potrebbe essere contenuto semplicemente guidando con più attenzione e più piano. Il mio incontro con l’orso in Abruzzo, invece, mi ha ricordato ancora una volta che gli animali sono una parte del patrimonio dell’Italia, proprio come la Costiera Amalfitana, la Galleria degli Uffizi, le Dolomiti e il Colosseo. Se ne ricorderà chi governa questo Paese smemorato?