Il massiccio dell’Adamello, oggi sul confine tra la Lombardia e il Trentino, è stato aspramente conteso, e ha visto alcune delle battaglie più “alte” della Grande Guerra sulle Alpi. Prima dello scoppio del conflitto, il confine tra il Regno d’Italia e l’Impero di Austria-Ungheria ricalcava quello regionale di oggi, toccando via via il Monte Fumo, la Cresta Croce, il Monte Mandrone, la Punta del Castellaccio e il Passo del Tonale.

All’inizio del secondo anno di guerra, gli alpini italiani erano attestati al rifugio Garibaldi, mentre gli austro-ungarici presidiavano la dorsale del Monte Fumo e della Lobbia Alta, e quella che unisce il Corno di Cavento con il Crozzòn di Folgorida. Tra le basi logistiche più importanti per le truppe imperiali era il rifugio Caré Alto, collegato al fondovalle di Rendena da una mulattiera lastricata e da ben cinque teleferiche.

Tra l’aprile e il maggio del 1916, in una serie di assalti, le truppe italiane conquistarono prima la linea Monte Fumo-Lobbia Alta, poi il Crozzòn di Folgorida, il Crozzòn di Lares e il Passo di Cavento, infine i Passi di Folgorida e delle Topette. Il Corno di Cavento, rimasto in mano austro-ungarica, fu conquistato dagli alpini sciatori il 15 giugno 1917. La cresta del Caré Alto, con i suoi cannoni issati faticosamente fino a quasi tremila metri di quota, divenne l’ultimo baluardo austro-ungarico.

Nel giugno del 1918, grazie a una galleria scavata nella Vedretta di Lares, gli imperiali rioccuparono il Corno di Cavento. Gli alpini lo ripresero un mese più tardi, con un’operazione simile a quella del 1917. Da allora la cima rimase in mano italiana fino al termine del conflitto. Tra i documenti che ricordano quegli scontri ad alta quota è il diario del tenente Felix Hecht von Elda, caduto sul Corno di Cavento, e oggi esposto nel Museo della Guerra Bianca di Spiazzo.

Oggi i due cannoni ai piedi del Caré Alto sono tra i resti più celebri lasciati dalla Prima Guerra Mondiale sul massiccio. Sul versante della Val Rendena si possono ammirare anche un bel tratto di strada selciata all’inizio della lunga salita a piedi, e qualche resto di costruzioni austro-ungariche intorno al rifugio Caré Alto.

La salita a piedi verso questo comodo punto di appoggio edificato nel 1912 e più volte ampliato dalla SAT è ripida, faticosa e riservata a escursionisti allenati. Passare una notte al rifugio, ovviamente, rende più piacevole l’itinerario. Affacciandosi su ciò che resta della Vedretta di Niscli si scopre la velocità del ritiro dei ghiacciai in questo settore delle Alpi.

  • Dislivello: 1630 m
  • Tempo: 8.15 ore a/r
  • Difficoltà: E/EE
  • Periodo consigliato: da luglio a settembre

Da Borzago, una strada raggiunge e risale la valle omonima. Superato un agriturismo si raggiunge il posteggio del Pian della Sega (1260 m), da cui appare il rifugio Caré Alto. A piedi si prosegue sulla strada sterrata (segnavia 213 e 215) che si lascia a un tornante per seguire una vecchia strada militare lastricata. Raggiunto il termine della strada sterrata, si lasciano a destra i ruderi della malga Coel di Pelugo e si sale per un ripido sentiero dal fondo roccioso.

A un bivio con panchina (1638 m, 1.15 ore) si lascia a destra il sentiero per il Passo dell’Altar, si traversa su un bel ponte sospeso il torrente, e poi si sale tra fitta vegetazione, toccando una sorgente e raggiungendo una zona rocciosa e ripida rivestita da fitta vegetazione. Il sentiero la risale con percorso faticoso e suggestivo, utilizzando gradini scavati e altri di legno.

Una traversata a sinistra porta a una grotta con stillicidio e a una zona più coricata, da cui riappare il rifugio. Si sale con una lunga diagonale superando degli elementari gradini rocciosi, ci si alza in direzione della costruzione, poi un tratto in piano conduce in una conca. Un ultimo tratto ripido porta a ritrovare la mulattiera di guerra poco prima del rifugio Caré Alto (2586 m, 2.15 ore), affacciato sulla Valle di Borzago, il versante orientale dell’Adamello e il settore meridionale del Brenta.

Il sentiero che conduce ai cannoni (segnavia senza numero) sale alle spalle dell’edificio, raggiunge una cresta rocciosa e la costeggia toccando la base di alcune vie di arrampicata. Si continua per ripidi prati, si supera una prima placca rocciosa e se ne raggiunge una seconda che può essere aggirata a sinistra. Sempre su terreno ripido ma facile, si torna in cresta in corrispondenza del cannone inferiore.

Per cenge, superando o aggirando un canalino indicato da frecce, si raggiunge anche il cannone superiore (2892 m, 1.15 ore), meglio conservato, ai piedi di un torrione roccioso. Oltre la cresta è il poco che resta della Vedretta di Niscli, domina la zona il Caré Alto. La discesa per la stessa via richiede 1 ora fino al rifugio e 2.30 ore da questo al posteggio.

Stefano Ardito Sentieri della Grande Guerra, Touring Club Italiano 2015