Verrebbe voglia di cavarsela con un “tié!”, ma è più giusto dire che ha vinto la montagna. L’immagine arrogante e violenta della ruspa al lavoro sul ghiacciaio del Teodulo, a poca distanza dal confine tra la Svizzera e l’Italia, è stata sostituita da quella dei battipista quasi sommersi dalla neve, che cercano di liberare un tracciato su cui è umanamente impossibile sciare, tantomeno a 100 chilometri all’ora.
Una coltre di neve soffice, e il vento che soffia con forza sul crinale di confine, sembrano aver messo a tacere settimane di polemiche scatenate dalla Matterhorn-Cervino Speed Opening, la prima discesa libera della nuova Coppa del Mondo di Sci, annunciata da mesi come “la gara più alta di sempre” e “la prima gara della storia nella quale i concorrenti attraversano sciando un confine”.
Nei giorni scorsi, alle voci di opinionisti dell’ambiente come Paolo Cognetti e Mario Tozzi, e ai dubbi avanzati da campioni dello sci come lo statunitense Bode Miller e il francese Alexis Pinturault, si era opposto un coro di voci a favore delle ruspe, della pista e delle gare.
Dopo l’approvazione del tracciato da parte della FIS, la Federazione Internazionale dello Sci, la maggioranza nel Consiglio Regionale della Valle d’Aosta ha espresso “la propria convinta adesione all’organizzazione delle gare italo-svizzere di Coppa del Mondo”, ha parlato di “pretestuose polemiche, avanzate da visioni miopi”, e si è rallegrata per “la sconfitta del partito del No”. Posizioni altrettanto dure sono state espresse dall’Associazione Albergatori valdostana.
Dal Ministero dell’Ambiente, dalla FISI, dal CONI è arrivato un silenzio assordante, fin troppo facile da prevedere, che ha riportato alla mente di molti le figuracce nelle prese di posizione sulla pista da bob in progetto Cortina, e la scelta di quella da usare nelle Olimpiadi invernali del 2026. Il disinteresse da parte degli enti locali e della FIS per i procedimenti giudiziari aperti dalla Procura della Repubblica di Aosta e dalla Cantone del Vallese dimostra che i prepotenti, in queste vicende, sono abituati a fare come gli pare.
Forse, anche se le previsioni meteo sembrano indicare il contrario, nel weekend del 18-19 novembre la gara femminile di Coppa del Mondo si terrà, al contrario di quella maschile prevista per il fine-settimana passato. Ma anche se le “donne jet” riusciranno a sfidarsi ai piedi del Cervino, il maltempo dei giorni scorsi ha dimostrato che la montagna è più forte.
Organizzare a novembre, quando il barometro sulle Alpi indica spesso tempesta, delle gare con partenza oltre i 3700 metri di quota e arrivo poco oltre i 3000 è una scommessa con poche possibilità di riuscita. Anche due settimane fa a Sölden, nel Tirolo austriaco, il vento aveva fatto cancellare il gigante maschile sul ghiacciaio del Rettenbach, con partenza a 3040 metri di quota.
Lo sfregio al ghiacciaio del Teodulo, scavato dalle ruspe fotografate un mese fa dal fotografo Sébastien Anex (merci beaucoup!) non è stato solo un danno all’ambiente, ma anche un investimento sbagliato. Più volte, nelle scorse settimane, ho detto e scritto che devastare in quel modo un ghiacciaio era un segno di profondo disprezzo per gli scienziati, e per i rapporti che ci raccontano del cambiamento climatico in atto.
Quei lavori, e i toni roboanti che li hanno accompagnati da parte delle amministrazioni locali e del mondo dello sport, sono stati un “me ne frego!” sbattuto in faccia agli ambientalisti, all’Unione Europea e all’ONU. E agli imprenditori e agli impiantisti che da anni, con dei grandi teli bianchi, tentano di rallentare lo scioglimento del ghiaccio alle sorgenti del Rodano e al Presena.
Sappiamo da tempo che la materia che forma i ghiacciai è preziosa, che dovremmo conservarla e curarla, e che lo scioglimento del ghiaccio significa sete, catastrofi per l’agricoltura, innalzamento rovinoso del livello del mare. Non solo nelle isole del Pacifico e in Bangladesh, ma anche a Venezia e in Romagna. Se la vediamo in questo senso, l’immagine di quella ruspa intenta a scavare nel ghiaccio è stato un dietro-front clamoroso, un balzo verso il passato.
“I denti della ruspa che divorano il ghiacciaio già sofferente ai piedi della Gran Becca racchiudono in sé tutta la tracotanza di vedere il mondo senza limiti, di cui vogliamo essere padroni, dove l’eccesso di produzione e consumo non deve avere alcun freno” ha scritto Michele Comi, guida alpina e collaboratore di “Montagna.tv”. Parole con le quali io, e tanti altri, siamo assolutamente d’accordo.
A bocce ferme, dopo il flop della prima libera, vale la pena di tentare qualche riflessione. Sappiamo che il mondo dello sport va in cerca di eventi sempre nuovi ed “estremi”, come i Mondiali di calcio nel deserto del Qatar e la tappa finale del Giro sulla vertiginosa stradina di Monte Lussari. Sappiamo che il business del turismo segue a ruota, offrendo ai clienti paganti di ripetere le esperienze dei campioni, magari con una E-bike al posto della bici da corsa. Sappiamo che gli impianti di risalita e lo sci di pista danno lavoro a decine di migliaia di persone, con un indotto di centinaia di migliaia. Ma pensare al futuro delle Alpi, e del turismo, serve è un segno di attenzione e rispetto per tutti loro.
Chi governa e gestisce la montagna, chi ci investe soldi propri o di altri, dovrebbe iniziare a rendersi conto che iniziative come la Matterhorn-Cervino Speed Opening, oltre a far sprecare una montagna di franchi svizzeri e di euro, hanno poche possibilità di riuscita. Organizzare gare di sci a 3700 metri di quota in novembre è come proporre un campeggio rinfrescante a Milano in agosto, o una passeggiata accanto un torrente in Nepal nella stagione dei monsoni.
Se diamo uno sguardo alla nuova pista da sci che unisce Zermatt a Cervinia, vediamo che l’arrivo è accanto al Lago delle Cime Bianche. Poco più a valle inizia l’omonimo, bellissimo Vallone che scende in direzione di Champoluc, e che gli amministratori e gli impiantisti della Valle d’Aosta e di Zermatt vorrebbero devastare a carissimo prezzo, per far passare un impianto di risalita inutile, e non affiancato da una pista da sci.
La promozione di questo sciagurato intervento, osteggiato da anni dagli ambientalisti e dal CAI, ha al centro l’idea di creare un comprensorio con 580 chilometri di piste. Anche in questo caso, come per la Matterhorn-Cervino Speed Opening, la corsa al record a tutti i costi, senza badare al paesaggio e all’ambiente, ma anche al mercato turistico com’è, rischia di causare danni evitabili e gravi. Quella ruspa sul ghiacciaio del Teodulo è un invito a mobilitarsi e a opporsi.
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