Ho sempre avuto un debole per il Guinness dei Primati. Quando andavo alle medie i miei genitori me lo regalavano ogni anno, ed era un dono gradito. Nelle sue pagine, meno illustrate di oggi, andavo alla ricerca di esploratori e alpinisti, di animali e di piante di colori e dimensioni bizzarri. Una cultura nozionista? Certamente, ma ci ho trovato tante informazioni utili.
Per questo motivo, lo scorso 25 settembre, quando ho dovuto scrivere del Guinness mi è sembrato di rovistare in un armadio di famiglia. Ma la storia era lì e andava raccontata. L’edizione 2024 del celebre almanacco ha deciso di togliere il record di primo salitore di tutti i 14 “ottomila” a Reinhold Messner per assegnarla allo statunitense Ed Viesturs, dodicesimo alpinista a completare la collezione.
La decisione del Guinness riprende in modo acritico il lavoro del tedesco Eberhard Jurgalski, e dei suoi amici del gruppo 8000ers (“gli ottomila”). Secondo loro, solo le ascensioni che si concludono sulla vera vetta, certificate da un GPS, devono essere considerate valide.
Non ci possono essere dubbi per vette nettissime come quelle del K2 e dell’Everest, ma sulle creste di neve dell’Annapurna, del Manaslu e del Lhotse qualche dubbio ci può essere. La “squalifica” di Messner e di Hans Kammerlander da parte di Jurgalski e del Guinness si riferisce all’Annapurna, dove i due altoatesini hanno aperto nel 1985 una via nuova di eccezionale difficoltà.
Messner ha reagito con una sola parola, “sciocchezze!” Poi ha aggiunto “qualcuno vuole farsi notare senza avere la minima competenza”, e “su quelle vette di neve il punto più alto si sposta, e affermare a decenni di distanza che la vetta è cinque o dieci metri più a lato è ridicolo”.
Oltre a Reinhold, la scelta del Guinness cancella dall’elenco dei collezionisti di “ottomila” altri straordinari alpinisti come Jerzy Kukuczka, Krzystof Wielicki, Erhard Loretan e gli italiani Sergio Martini, Silvio “Gnaro” Mondinelli, Abele Blanc, Mario Panzeri, Nives Meroi e Romano Benet. Martini ha risposto con durezza, Meroi con un saggio “le classifiche sono roba da maschi”.
La risposta più bella è arrivata da Viesturs, che ha rifiutato il titolo. Per lui, Messner “ha indicato la strada, non solo per lo stile, ma anche fisicamente e psicologicamente”, e va ringraziato perché “altri alpinisti, me incluso, hanno potuto seguire le sue orme ispirandosi a lui”.
Dopo aver raccontato queste storie su Montagna.tv e sul Messaggero, ho cercato l’altra faccia della medaglia. Agli alpinisti nepalesi, a iniziare da Nirmal Purja e da Kami Rita Sherpa, il Guinness dei Primati piace. Un anno fa l’ex-Gurkha, diventato famoso con i suoi 14 “ottomila” saliti in 169 giorni, si è fatto fotografare mentre riceveva felice la pergamena per i 5 record che gli sono stati attribuiti.
Nella pagina Facebook di Kami Rita, che ha salito 28 volte l’Everest e pochi giorni fa sul Manaslu ha compiuto la sua ascensione numero 42 di un “ottomila”, le pergamene del Guinness sono ovunque. Ne arriveranno altre, perché il Tibet ha riaperto i confini, e lo Sherpa nei prossimi giorni tenterà (e quasi certamente salirà) lo Shisha Pangma e il Cho Oyu.
E’ legittimo chiedersi se la gioia di Kami Rita Sherpa e Nirmal Purja è sincera, o se nasconde un calcolo di mercato, perché i clienti che si affidano a loro per salire gli “ottomila” arrivano da Paesi (l’Iran e l’Indonesia, Singapore e il Messico…) dove i distinguo di Messner, di Viesturs e degli altri non arrivano, ed è il record ufficiale e certificato a contare.
E’ legittimo che il Guinness dei Primati, Guinness Book of Records nell’edizione originale, riscriva la storia dell’alpinismo? Anche se gli alpinisti europei e nordamericani non sono d’accordo i numeri gli consentono di farlo, perché il librone, uscito per la prima volta nel 1955, viene oggi stampato in oltre 40 lingue, vende 3,5 milioni di copie all’anno e ne ha diffuse in tutto oltre 150 milioni.
Proprio per questo, d’altronde, insieme agli sportivi di élite aspirano a entrare nelle sue pagine migliaia di detentori di record bizzarri, dalle fritture giganti al massimo numero di persone capaci di stiparsi in un’auto. Rafforza il potere del Guinness l’esistenza di videogiochi e programmi televisivi ispirati al volume. In Italia, su Canale 5, va in onda Lo Show dei Record con Gerry Scotti.
Per capire meglio la questione, dopo decenni, ho investito 25,90 euro per regalarmi una copia dell’edizione italiana del Guinness. Dopo batteristi in erba, campi da golf a 5000 metri di quota, mini-ginnaste e umani tatuati in ogni angolo del corpo, sono arrivato a pagina 252, e ho scoperto che Eberhard Jurgalski e i suoi 8000ers sono entrati tra i consulenti ufficiali. Immagino che sia un incarico pagato, ma questo non mi scandalizza.
Sabato 14 ottobre sarò a Trento ad ascoltare Messner e Viesturs che parleranno del problema con i bravissimi Alessandro Filippini e Luca Calvi. Intanto, una settimana fa, ho scritto una mail all’ufficio stampa del Guinness per chiedere un’intervista. Mi hanno risposto “puntiamo a rispondere a tutte le comunicazioni in tre giorni, un nostro rappresentante si farà vivo prima possibile”. Nei primi otto giorni non si è fatto vivo nessuno, vedremo. Il punto però è un altro.
Di fronte allo strapotere mediatico del Guinness, è legittimo ignorare le sue affermazioni, come fanno Reinhold Messner e altri. Credo però che il mondo dell’alpinismo debba rispondere ad affermazioni di questo tipo, che (come dimostrano i bravissimi Kami Rita Sherpa e Nirmal Purja) nel mondo trovano un’eco molto vasta.
Gli unici a poterlo fare sono i Club Alpini e l’UIAA, la federazione internazionale che li riunisce, della quale il nostro CAI è tornato a far parte da poco. Se c’è un dubbio su un record nell’atletica leggera o in qualunque altro sport, le uniche abilitate a decidere sono le rispettive federazioni internazionali, non un librone patinato che porta il nome di una celebre (e buonissima) birra.
So che prepararlo sarà una scocciatura, ma c’è davvero bisogno di un documento ufficiale sulle regole per considerare valida (o meno) un’ascensione dell’Everest, dell’Annapurna o di qualunque altra cima della Terra. Che ne pensa l’UIAA? Che ne pensano i dirigenti del CAI? Che ne pensa il presidente Antonio Montani?
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