A volte la realtà supera la fantasia più sfrenata. Domenica 21 maggio l’Assemblea dei Delegati del CAI, riunita a Biella, ha cancellato dai suoi soci onorari nientemeno che Benito Mussolini, il duce dell’Italia fascista, che figurava dal 1926 al numero 49 dell’elenco. “E’ un atto di coerenza, non so perché nel 2023 quel nome fosse ancora lì. I principi fondanti del Club Alpino Italiano sono incompatibili con ogni forma di regime totalitario” ha commentato il presidente generale Antonio Montani.

Mussolini è morto il 28 aprile 1943, voglio credere che la sua presenza settantotto anni dopo nell’elenco dei soci onorari non indichi la presenza di una componente nostalgica nel CAI, ma solo un pizzico di sciatteria nel tenere aggiornati gli archivi. La riscoperta di quel nome, e la rapidità dell’Assemblea nel rimettere a posto le cose, ricordano che sul Gran Sasso c’è un’altra ferita storica da sanare.      

Qualche giorno fa, il 17 maggio, ho scoperto che all’ordine del giorno dell’Assemblea dei Delegati del CAI era anche la questione dei “soci ebrei epurati” ai sensi delle leggi razziali fasciste. Ho subito scritto ai presidenti delle Sezioni CAI di Teramo, Roma e L’Aquila, ai presidenti regionali dell’Abruzzo e del Lazio, al presidente Montani e ad altri soggetti interessati per ricordare la questione della ferrata del Gran Sasso ancora intitolata a Guido Brizio, che ha firmato la cacciata dei soci ebrei dalla sezione di Roma. Un nome che, quattro mesi fa, ci è stato chiesto esplicitamente di cambiare.

Permettetemi di ricapitolare la questione. Un anno e mezzo fa, alla fine del 2021, l’amico e collega Lorenzo Grassi ha fatto circolare uno studio sulla “epurazione” da parte della Sezione di Roma del Centro Alpinistico Italiano (il nome fascista del CAI) dei soci di razza “non ariana” dopo le leggi razziali del 1938-’39.

A deliberare la cacciata dei soci ebrei è stato il presidente sezionale Guido Brizio. Dopo il ritorno della democrazia il CAI nazionale, ridiventato Club e non Centro, non ha deciso una riammissione con le scuse degli espulsi, molti dei quali nel frattempo erano stati vittime della persecuzione nazista.

All’inizio del 2022 ho scritto del lavoro di Lorenzo su “Montagna.tv” e sul “Messaggero”. Il CAI nazionale ha creato un gruppo di lavoro (Milena Manzi, Fabrizio Russo, Angelo Soravia) che ha informato della questione le Sezioni. La riscoperta degli archivi della Sede Centrale per gli anni tra il 1929 e il 1945 ha consentito allo storico Stefano Morosini di studiare la questione. A Roma Livia Steve ha proseguito il lavoro di Grassi, producendo un elenco con decine di nomi di “epurati”.

Culmine di questo processo è stato l’incontro del 25 gennaio 2023 al Centro Ebraico Il Pitigliani di Roma, tra il CAI e la Comunità Ebraica romana e nazionale. Il momento più commovente è stata la consegna di 30 “tessere alla memoria” da parte del presidente Montani ai discendenti dei soci cacciati.

“Il CAI è figlio di tutta la sua storia, non solo delle vette conquistate. Nel dopoguerra è mancata una riflessione critica” ha detto Angelo Soravia. “In passato ha prevalso il desiderio di oblio, oggi i soci epurati devono rientrare nella nostra comunità” ha aggiunto Giampaolo Cavalieri, presidente del CAI Roma. “Sono onorato e commosso di essere qui. Dobbiamo cercare tra i nostri soci di tanti anni fa chi si è rifiutato di firmare quei provvedimenti, e onorare la sua memoria” ha concluso Montani.

Interventi importanti sono arrivati da Noemi Di Segni, presidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, e da Ruth Dureghello, all’epoca presidente della Comunità Ebraica di Roma. Si sono commossi i discendenti dei soci “epurati”, e che hanno ricevuto le “tessere alla memoria”. A tutti noi spetta il compito non far cadere nuovamente nell’oblio questa storia.

C’è ancora un tassello da mettere a posto. Riguarda il nome della ferrata del Gran Sasso che collega la Sella del Brecciaio con la Sella dei Due Corni. Un tracciato che è stato ideato dalle Sezioni di Roma e dell’Aquila del CAI, che è stato costruito nel dopoguerra quando Guido Brizio non era più presidente sezionale ma che gli è stato comunque dedicato.

Lorenzo Grassi ha proposto di dedicare la ferrata alla socia “epurata” Agnese Ajò e a suo marito Enrico Iannetta, il migliore alpinista romano di quegli anni. Il 25 gennaio, al Pitigliani, anche la presidente Noemi Di Segni ha chiesto al CAI di cambiare quel nome. “Noi della Comunità Ebraica, da anni, chiediamo di cambiare nome alle scuole e alle strade intitolate a chi ha obbedito agli ordini del regime, e non ha saputo dire no” ha spiegato.

“Occorre evitare la contrapposizione tra nomi” ha proseguito Di Segni, una frase che è sembrata accantonare l’ipotesi di dedicarla ad Ajò e a Jannetta. Per questo motivo, alla fine, ho proposto di ribattezzarla Ferrata della Memoria. Un suggerimento che mi sembra sia piaciuto ai presenti.

La decisione, però, non è stata ancora formalizzata. Sarebbe bello riuscire a farlo prima dell’estate, per far trovare a escursionisti e alpinisti il nome nuovo, e magari organizzare un incontro nel segno del ricordo e della pace. Il nome Ferrata della Memoria può non piacere a qualcuno, e tutti possono suggerire una soluzione diversa. Ma credo che sia bene fare in fretta.

La questione riguarda le Sezioni di Roma e dell’Aquila del CAI che hanno ideato e costruito la ferrata, il CAI di Teramo al quale è stata ceduta qualche anno fa, il CAI nazionale e il suo gruppo di lavoro. E’ giusto che si esprimano le altre Sezioni legate al Gran Sasso e i Gruppi Regionali CAI dell’Abruzzo e delle regioni vicine. Vanno sentiti il Comune di Pietracamela nel cui territorio la ferrata ricade, le guide alpine che vi conducono i clienti, il Parco Nazionale del Gran Sasso e Monti della Laga che tra il 2016 e il 2017 ha ripristinato la ferrata.

Credo che la discussione debba essere pubblica, e debba coinvolgere tutti gli appassionati del Gran Sasso. Può riguardare perfino il Club 2000m, che ha da anni un buon seguito tra i frequentatori dell’Appennino, e che dopo la pubblicazione dei miei articoli e del rapporto di Grassi ha difeso sulla sua pagina Facebook il presidente Guido Brizio, definito “un Aiace tra i dardi”. Anche il Club 2000m può dire ciò che pensa del nome. Purché lasci i dardi (e le frecce) ai bambini che vogliono giocare agli indiani.