Trentanove anni fa, nel 1982, ho fatto un incontro che ha cambiato la mia vita professionale, e non solo quella. Avevo iniziato da poco a scrivere di montagna e di viaggi, ero stato ai piedi dell’Everest e sulle montagne del Pakistan, volevo continuare a raccontare storie e a viaggiare.
Ero in cerca di nuove collaborazioni, un anno dopo sarei arrivato a scrivere per “Repubblica”. Quando l’amico Maurilio Cipparone mi ha organizzato un incontro con il direttore di “Airone”, il bellissimo mensile che aveva iniziato le pubblicazioni un anno prima, ho capito che era un’occasione importante.
Quando mi sono trovato davanti a Egidio Gavazzi, ideatore, coeditore (insieme a Giorgio Mondadori) e direttore di “Airone”, gli ho proposto dei trekking e degli itinerari in giro per il mondo. Lui mi ha ascoltato con cortesia, e mi ha risposto senza pietà. “I servizi sui grandi trekking del mondo li compro facilmente in America. Perché non mi trovi delle camminate inedite in Italia?”
E’ stata una mazzata, ma aveva perfettamente ragione. Gli itinerari a piedi da Siena all’Argentario, dal Conero ai Sibillini, da Pavia a Portofino che ho cercato e descritto insieme a Roberto Sigismondi hanno avuto un enorme successo, in un’Italia che aveva voglia di sentieri e dove i percorsi segnati esistevano solamente in montagna. Alcuni sono stati anche riutilizzati e scopiazzati senza un grazie, ma questo è il normale malcostume italico.
Altri servizi ideati e commissionati da Egidio Gavazzi mi hanno portato a percorrere in lungo e in largo l’Etruria tra Lazio, Umbria, Emilia e Toscana; a esplorare con occhi diversi i laghi di Vico, Bracciano e Bolsena; lungo il Vallo di Adriano al confine tra l’Inghilterra e la Scozia.
Più tardi, su incarico di altri direttori di “Airone” come Salvatore Giannella, Nicoletta Salvatori ed Eliana Ferioli, ho raccontato ai lettori l’Antartide, la Patagonia e l’Annapurna.
E’ stato Egidio Gavazzi, invece, a commissionarmi uno straordinario lavoro sulla “Toscana degli altri”, sui sardi e sui britannici insediati tra il Chianti e la Maremma, insieme a Sue Bennett e John Running, due fotografi dell’Arizona specializzati in ritratti.
E’ stato ancora Egidio a chiedermi una durissima inchiesta, uscita alla fine del 1987, sul bracconaggio contro l’orso d’Abruzzo, e sugli errori nella gestione di un animale così prezioso.
Dopo l’uscita del servizio, corredato da terribili fotografie di orsi ammazzati a fucilate e con i lacci, le proteste del Parco d’Abruzzo hanno causato uno scontro tra Gavazzi e Giorgio Mondadori, e la conclusione dell’esperienza di Egidio ad “Airone”.
Per lui, così attento all’eleganza e all’estetica, pubblicare quelle immagini era stata una scelta sofferta. Eppure, in quei giorni difficili, si è sempre schierato accanto a me, com’è giusto che faccia un direttore con un suo giovane cronista che ha lavorato seriamente. Un esempio di “hombre vertical”, di uomo tutto di un pezzo.
Ieri Egidio Gavazzi ci ha lasciato, cadendo con il suo piccolo aereo prima di atterrare a Padova. Aveva 84 anni, non sapevo più nulla di lui da anni, le circostanze della sua morte mi fanno pensare che si sia goduto la vita fino all’ultimo con le sue grandi passioni, che erano la fotografia, i viaggi e il volo.
Oggi il “Corriere della Sera” e altre testate raccontano dell’incidente, e spiegano chi è stato Egidio Gavazzi. Molte informazioni ci sono, ma il punto più importante non si coglie. Fino al 1981, l’anno dell’esordio in edicola di “Airone”, per gran parte degli italiani le paludi erano luoghi di malaria e di caccia; gli animali del mondo non interessavano a nessuno; le mete da vedere nel cosiddetto Belpaese erano Venezia, il Colosseo, gli Uffizi e poco altro.
Egidio Gavazzi, rampollo di una dinastia industriale lombarda che si occupava di tutt’altro, ha costruito da zero una rivista che offriva al lettore animali (italiani e del mondo), itinerari e “inviti alla visita” di parchi, valli, borghi e perfino paludi. Completavano il sommario dei ritratti di personaggi, e delle inchieste ben fatte sui temi (allora inediti) dell’ambiente.
Con questi argomenti, con foto splendide e con un’impaginazione rigorosa, dopo qualche anno “Airone” ha sfiorato le 300.000 copie di diffusione. Poi il mondo e la tecnologia sono cambiati, oggi gli animali si vedono in televisione, e decine di quotidiani, settimanali e mensili propongono itinerari in Italia. Non sempre verificati e collaudati, però.
Egidio Gavazzi non era un professionista dell’editoria, ma un dilettante pieno di intelligenza e passione. La sua rivoluzione, per rimanere in quegli anni, è stata simile a quella di Eugenio Scalfari che ha creato “Repubblica” in formato tabloid. Ma se Scalfari è giustamente considerato un maestro, Gavazzi è scivolato nell’ombra.
Grazie ad “Airone”, molti giovani autori e fotografi come me hanno fatto della loro passione un lavoro, e molte migliaia di italiani hanno trasformato il loro tempo libero e la loro vita. C’è qualcosa di “Airone”, e quindi di Gavazzi, in molte testate di oggi, dal “Venerdì” fino a “Meridiani” e a “Dove”. Senza “Airone”, e senza Egidio Gavazzi, i nuovi Parchi nazionali italiani e la legge-quadro sulle aree protette del 1991 non ci sarebbero stati, o sarebbero arrivati molto più tardi.
“Quando ho lanciato Airone ho fatto solo un errore” mi ha raccontato nel 1986 in uno dei nostri rari incontri. “La cornice gialla della copertina lo fa somigliare al National Geographic, e invece questo è un giornale completamente diverso”. Grazie ancora Egidio Gavazzi. Grazie e addio.