In coincidenza con la riapertura tra le regioni post emergenza Covid-19, quando l’Italia, tutta, è riemersa ai nostri occhi quale patrimonio comune, ha preso il via “Linea1201”, un progetto di attraversamento dell’Appennino dell’artista Angelo Bellobono, a cura di NOS Visual Arts Production, volto a realizzarne un racconto pittorico.
Non è la prima esperienza in montagna di Angelo. “Linea1201” prosegue la sua indagine sul Mediterraneo come “grande lago di montagna” incastonato tra le vette che lo incorniciano, dove metaforicamente la dorsale appenninica è una grande nave che lo attraversa.
Il progetto propone un racconto unico, artistico, visionario, di un territorio montano poco conosciuto, che proprio oggi invece ritrova una nuova attenzione. Un racconto che si articola in quattro tappe che attraversano varie regioni così come la catena montuosa fa senza distinzione di confini.

La prima tappa, dal 22 al 28 giugno, è stata sulle Mainarde, al Parco nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise, dove Angelo Bellobono ha ripercorso l’esperienza del suo predecessore francese Charles Moulin (Lille, 1869 – Isernia, 1960) che nella prima metà del Novecento aveva costruito sul Monte Marrone un piccolo rifugio per ritirarsi in eremitaggio artistico e spirituale. Qui, in totale isolamento, Angelo ha lavorato come in un atelier, per poi aprirlo al pubblico in occasione di un’escursione in cui ha condotto i partecipanti a scoprire il suo lavoro in vetta.

Di seguito un breve dialogo con l’artista Bellobono e Stefano Ardito, ospite dell’escursione.

Esperto di Appennino, conoscevi già bene questo territorio. Quali sono, Stefano, le storie per cui le Mainarde sono note? Cos’hai scoperto che già non sapevi in questa esperienza sul Monte Marrone alla Capanna Moulin?
Le Mainarde sono un luogo speciale e a tratti selvaggio, un pezzo di Appennino centrale proiettato come paesaggio e come atmosfera verso il Sud. Le ho scoperte da escursionista, come un luogo di natura e wilderness. Ci sono tornato per raccontare, con articoli per giornali e il documentario “La valle dell’uomo-cervo”, trasmesso da Geo&Geo di RAI Tre, la magnifica Festa del Cervo di Castelnuovo a Volturno. E poi per scrivere della battaglia del 1944, in cui gli alpini dell’Italia libera hanno sconfitto le truppe d’élite tedesche e sorpreso gli Alleati. Nessuna delle due volte, però, sono arrivato fino alla capanna di Charles Moulin. Puoi esplorare quanto vuoi, ma resta sempre qualcosa da trovare.

Angelo, come hai lavorato, diversamente da come fai in studio, durante questa settimana di ritiro in vetta ospite di un luogo davvero speciale e carico di spirito creativo e umano come questa capanna costruita da Charles Moulin sull’Appennino molisano?
Quasi sempre mi appresto a cominciare un nuovo progetto con grande meraviglia, poi quasi subito intorno a me si costruisce un mondo che mi accoglie e tutto diventa …normale. L’organizzazione iniziale atta a decodificare le nuove coordinate, lascia presto il posto alle cose he amo fare, che devo fare. Naturalmente la percezione di trovarsi in una condizione speciale, non necessariamente facile e bella, costringe a soluzioni e tempi diversi. Noi dobbiamo solo tenere gli occhi aperti e le antenne dritte.

Pensate che lo stravolgimento che il Covid-19 ha portato nelle vite di tutti indurrà a una maggiore consapevolezza e rispetto del patrimonio naturalistico?
A.B. – Il Covid è natura che destabilizza, non rassicura, stravolge i sistemi su cui l’uomo poggia la propria esistenza. Pochi mesi di pandemia hanno evidenziato tutta la precarietà e fragilità di tali sistemi, quasi sempre egoisti, bulimici e presuntuosi. Ecco, la natura è in grado, con una microparticella, di polverizzare tutte le nostre cattedrali. E’ evidente che un equilibrio tra sistemi produttivo consumistici e sistemi naturali sia fondamentale, ma temo che questo non avverrà a breve. Vedo un incremento di paura e cattiveria collettiva, che spinge costantemente alla ricerca di un nuovo nemico da combattere. Basterebbe guardare dentro di noi per scoprire il nemico per eccellenza.

S.A. – Tutte le catastrofi della storia, dalle epidemie alle guerre, hanno tirato fuori dagli umani il meglio e il peggio. Da mesi, tutti i giorni e in tutto il mondo, vediamo alternarsi generosità ed egoismo, pulsioni autoritarie e democrazia, intelligenza collettiva e stupidità burocratica all’estremo. Certo, la fine del lockdown ha spinto molte persone che non lo avevano mai fatto a cercare tranquillità e relax sui sentieri in montagna, piuttosto che su spiagge affollate, e ora anche insicure. Dopo la camminata con Angelo a Monte Marrone sono andato a Villalago, a vedere e fotografare l’orsa con i quattro cuccioli che vive accanto al paese. C’erano centinaia di persone, ed era un entusiasmo positive e importante. E’ impressionante pensare che in Trentino si pensa ad animali meravigliosi come gli orsi solo in termini di gabbie, castrazioni e fucili.

In che modo e quanto incide la condizione di isolamento nella vostra pratica esplorativa?

A.B. – Amo la solitudine e quindi anche l’isolamento. Sono due cose che possono coesistere insieme, ma anche no. In ogni condizione, quindi anche nell’isolamento, cerco sempre di ricreare intorno a me una condizione di routine, non rigida, che si costruisce di volta in volta in base ai mezzi e ai livelli di comfort disponibili. Sicuramente i tempi, i modi e i risultati cambiano rispetto alla pratica pittorica in studio e alle escursioni in compagnia. Naturalmente molto dipende anche dal grado di difficoltà tecnica con cui ci si confronta. A volte la concentrazione individuale diventa isolamento in una cordata complessa, ma mai solitudine. Quando sono solo in natura amo anche sperimentare, ragionevolmente, i miei limiti. Nel fare pittura la solitudine è invece, per me, una costante necessaria. Poi la condivisione dei risultati e il confronto sono un percorso successive, a volte necessario e a volte no.

S.A. – Ho praticato per molti anni l’alpinismo, che di solito è un’esperienza collettiva. Non voglio fare della retorica, ma la cordata è un legame importante, spesso di vita o di morte. Quando cammino, invece, vado spesso da solo. E sull’Appennino, al contrario che sulle Dolomiti, è facile camminare in solitudine per un’intera giornata. Per me andare in montagna da solo è un’esperienza importante, che mi consente di concentrarmi e pensare. Certo, bisogna fare attenzione, ma anche questo serve. Aggiungo che, per scelta, non ho mai portato con me un GPS. Guardarsi intorno, trovare la propria via, rischiare di perdersi è una parte fondamentale dell’esperienza su un sentiero, da solo o in compagnia. Una macchinetta che ti dice dove andare con un bip è un “aiutino” che non mi piace.

“Linea 1201” è un programma di residenza diffusa dell’artista Angelo Bellobono, promosso dall’associazione Atla(s)Now, a cura di NOS Visual Arts Production e realizzato con il contributo della Fondazione Cultura e Arte, ente strumentale della Fondazione Terzo Pilastro – Internazionale presieduta dal Prof. Avv. Emmanuele Francesco Maria Emanuele.

Il dialogo è a cura di Elisa Del Prete e Silvia Litardi, curatrici di NOS Visual Arts Production.