L’epidemia di COVID-19 è un problema serissimo, l’avvio della Fase 2 è un momento delicato. I frequentatori di montagne, pareti e sentieri lo sanno, e attendono di rimettersi in moto con grande voglia, e con un senso di responsabilità assoluto.
La bella lettera aperta che il presidente del CAI Vincenzo Torti ha inviato nei giorni scorsi al presidente del Consiglio Giuseppe Conte, e che non ha avuto una risposta pubblica, dimostra un atteggiamento maturo. Il surreale dibattito dei giorni scorsi su chi tra zie, cugini e fidanzati dell’altro o del medesimo sesso potesse rientrare tra i “congiunti” dimostra che, tra chi ci governa, la maturità è spesso meno diffusa.
La Regione Lazio, con la sua ordinanza del 2 maggio, dimostra che anche tra la Cristoforo Colombo e la Pisana (le due sedi dell’ente, per chi vive altrove) la voglia di “fare ammuina” prevale sull’obbligo di governare nell’interesse dei cittadini.
In tutta Italia, come sappiamo, dal 4 maggio sarà possibile tornare a camminare, “fare attività motoria” in burocratese, senza oltrepassare i confini regionali. Nel Lazio, invece, sarà possibile spostarsi solo dal 6 maggio, e solo nella propria Provincia. Rinviare l’apertura di 48 ore non dà un gran fastidio, ma sembra motivato unicamente dal bisogno di far vedere che si esiste, un riflesso sgradevole e pericoloso per un ente. La faccenda dei confini provinciali, poi, è un pericoloso pasticcio.
Da decenni il Parlamento (compreso il partito di Nicola Zingaretti) tenta di eliminare le Province. Riesumare enti inutili e confini poco evidenti sulle mappe e sulle strade non ha senso, e rischia di causare centinaia di multe evitabili. In più nel Lazio, dove l’80% della popolazione vive a Roma e dintorni, limitare l’escursionismo al territorio provinciale significa rischiare dei pericolosi affollamenti.
Invece di distribuirsi verso il Terminillo, gli Ernici, la Duchessa e (Dio non voglia!) massicci abruzzesi come il Gran Sasso e il Velino, gli escursionisti di Roma e dintorni potrebbero riempire i sentieri del Soratte e del Gennaro. Non vorrei che, nel prossimo weekend, qualche solerte tutore dell’ordine si appostasse proprio lì con tanto di elicotteri e droni, per rifilare multe e invocare la chiusura totale .
Agli escursionisti di Roma e provincia, vittime di un provvedimento ridicolo, ricordo un po’ di vette e sentieri dove possono andare, dal Catillo al Morra, e da Guadagnolo fino al Pellecchia e al Lupone. Sul Semprevisa, chissà perché, si potrà andare da Carpineto Romano, ma non da Sezze o Bassiano.
Sull’Autore si potrà salire da Livata o Vallepietra, che si raggiunge in auto con un viaggio degno della Majella, ma che permete di ammirare la parete della SS. Trinità (nella foto). Chi volesse partire da Camerata, sempre in provincia di Roma, dovrebbe passare per qualche chilometro in Abruzzo, e rischierebbe la fucilazione come il generale-brigante José Borjès, messo a morte da quelle parti nel 1861.
Che altro dire? Mi auguro che queste bizzarrie pericolose e persecutorie vengano eliminate al più presto, invito chi vuol camminare a non affollare le poche montagne che il governatore Zingaretti ci lascia. E gli consiglio sommessamente, da “azionista di maggioranza” del Governo, di darsi da fare piuttosto per far partire finalmente la cassa integrazione e gli altri aiuti economici per chi ne ha bisogno da due mesi. In tutta Italia, non dentro dei confini riesumati per l’occasione.