Due anni fa, il 18 gennaio del 2017, la valanga che ha investito l’Hotel Rigopiano ha ucciso 29 persone, e ha portato il versante pescarese del Gran Sasso sotto i riflettori dell’Italia e del mondo. Nelle ore successive alla tragedia sono venuti alla luce il coraggio degli uomini e delle donne del Soccorso Alpino, dei Vigili del Fuoco e delle Forze dell’ordine, e il terribile dolore dei familiari delle vittime.
Gli errori del Comune di Farindola, della Provincia di Pescara, della Regione Abruzzo e della Prefettura di Pescara sono stati altrettanto evidenti. E sono stati confermati dalla Procura della Repubblica di Pescara, che dieci mesi dopo la valanga ha rinviato a giudizio 23 rappresentanti delle istituzioni.
L’iter giudiziario deve seguire i suoi tempi, ma sappiamo che l’Hotel Rigopiano non doveva essere lì, che i servizi di sgombero della neve non hanno funzionato. E che la Carta Regionale delle Valanghe, prevista da una legge del 1992, non era mai stata realizzata.
Nel dicembre del 2018, altri avvisi di garanzia hanno confermato un dettaglio famoso. La telefonata di soccorso delle 11.38 da parte di Gabriele D’Angelo, cameriere dell’Hotel Rigopiano, non ha solo avuto una risposta sprezzante da parte di una funzionaria della Prefettura, ma sembra essere scomparsa dai brogliacci.
In questi giorni, com’è giusto, le istituzioni e i media tornano a occuparsi del caso. Mancano tre settimane alle elezioni regionali, e questo spinge i politici a farsi sentire. Il Ministro dell’Interno Matteo Salvini ha annunciato di aver stanziato 10 milioni di euro per i familiari delle vittime.
Giorgia Meloni, segretario di Fratelli d’Italia, ha annunciato che il suo partito si farà carico dei 4.550 euro dell’ammenda comminata ad Alessio Feniello, padre di una delle vittime, per essersi avvicinato ai ruderi, ancora sotto sequestro, per deporre dei fiori. In questi giorni sarebbe più elegante il silenzio. Ma in Italia, dopo altre tragedie, si è visto di peggio.
C’è un’altra cosa da dire. Gli errori e i morti di Rigopiano hanno insegnato ben poco a chi gestisce la montagna abruzzese. Sul Gran Sasso e sulla Majella, molte strade d’alta quota vengono chiuse anche quando la neve non c’è. La pulizia dalla neve di altre, nonostante le promesse, resta affidata a mezzi inadeguati.
La psicosi scatenata dopo la tragedia ha reso sempre più frequenti i divieti di sci e altre attività fuoripista emessi da Comuni come L’Aquila, Roccaraso e Scanno. Provvedimenti che sulle Alpi non ci sono, che non creano sicurezza, che colpiscono inutilmente gli appassionati e le guide alpine.
Alla Carta delle Valanghe, invece, si è iniziato finalmente a lavorare. Poco più di un anno fa, l’incarico è stato assegnato a Roberto Nevini, geologo dell’Università di Siena, che ha 36 mesi a disposizione. Una buona notizia, certamente. Fino al novembre del 2020, però, chi deve organizzare gite in montagna o programmare interventi edilizi si deve ancora affidare al buonsenso.
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