Il ritorno del Festival della Montagna dell’Aquila, nella “Winter Session” dal 14 al 16 dicembre scorsi, mi ha fatto piacere per molti motivi. Lo meritava la città, ormai alle soglie del decennale del terremoto del 2009. Lo meritava il Gran Sasso, meraviglioso e imbiancato la mattina di domenica 16, ma ancora tormentato dall’incapacità di gestione da parte del Parco, delle ex-Province e della Regione che porta alla chiusura delle strade e degli impianti di risalita. Lo meritavano i grandi alpinisti arrivati da lontano, e i personaggi di casa nostra che meritano uno spazio adeguato.
Da spettatore, ho apprezzato il sobrio, bellissimo racconto di Claudio Arbore sulle sue esperienze sulle cascate di ghiaccio dell’Abruzzo e del Lazio. Allo stesso modo, ho seguito con interesse le parole e le immagini con cui Hansjörg Auer ha legato la sua infanzia in un maso di montagna alle sulle sue grandi ascensioni, dal Pesce al Gran Muro in free solo fino alla straordinaria solitaria sui 7157 metri del Lupghar Sar West.
Nel pomeriggio-sera di domenica, è stato bello chiacchierare dal palco del Festival con un Pierluigi Bini sempre più a suo agio in occasioni di questo tipo. La presentazione di “Gran Sasso, memorie di roccia e di neve” insieme a Luca Angeletti, Vincenzo Brancadoro e Salvatore Santangelo è stata la giusta celebrazione di un bel libro appena uscito. La conversazione su “Salire con Stefano Zavka”, con Lorenza Moroni e Kati Dormi, ben condotta da Pier Luigi Diamanti, è stata profonda e intensa, e ha avuto dei momenti di commozione.
A sorpresa, la sera del sabato, gli organizzatori del Festival mi hanno chiesto di intervistare sul palco Nives Meroi e Romano Benet dopo il loro racconto tra i seracchi del Kangchenjunga e i pendii di ghiaccio e neve dell’Annapurna, due delle loro ultime imprese himalayane. La classe e la semplicità di Nives e Romano hanno reso anche questo momento molto bello e intenso. Grazie a tutti.
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