L’inverno che sta per finire ha riportato l’Himalaya in prima pagina. E le notizie non sono state buone. Hanno fallito sia Alex Txikon sull’Everest, sia Denis Urubko e i polacchi di Krzysztof Wielicki sul K2. La seconda salita invernale del Nanga Parbat si è conclusa con la morte di Tomek Mackiewicz, e con il salvataggio di Elisabeth Revol da parte di Adam Bielecki e di Urubko.
Il racconto di queste imprese è arrivato solo in parte agli appassionati di montagna di casa nostra. Tra le cause, oltre alla mancanza di protagonisti italiani (Simone Moro e Tamara Lunger hanno scelto la Siberia), vanno citati i lunghi silenzi dei polacchi, e la presenza di improbabili “inviati” al campo base di Txikon. Più importante, purtroppo è stata la scarsa capacità di molti colleghi dei quotidiani e dei TG di vagliare le informazioni, non sempre affidabili, che rimbalzavano dai campi base e dai satellitari degli alpinisti in parete. Ma il quadro sta per cambiare. A fine marzo, le decine di spedizioni commerciali dirette alla via normale nepalese dell’Everest iniziano ad arrivare a Kathmandu, tra un paio di mesi aumenterà il traffico anche sul versante tibetano della montagna, e lungo il trekking del Baltoro che conduce al K2 e ad altri tre dei quattordici “ottomila” della Terra. I protagonisti dell’inverno che finisce hanno fatto certamente degli errori. Secondo me, però, il ritorno dell’alpinismo himalayano di massa farà rimpiangere le avventure di Denis, Elisabeth, Adam, Tomek, Alex, Alì e dei loro compagni, a temperature che non riusciamo nemmeno a immaginare.
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